martedì 29 marzo 2016

QUANDO LO STATO RIVENDICA L’ETICITÁ, LA PAIDEIA HA FALLITO. Sull’arresto di uno studente, all’interno del Liceo Statale VIRGILIO di Roma


QUANDO LO STATO RIVENDICA L’ETICITÁ, LA PAIDEIA HA FALLITO
(Sull’arresto di uno studente, all’interno del Liceo Statale VIRGILIO di Roma)



Non è indispensabile rileggere i tre volumi di Werner Jaeger su: La formazione dell’uomo greco, per restituire alla prassi educativa e alla sua storia nonché a chi ne è titolare o presume di esserlo, il proprio ruolo e le proprie responsabilità. I fatti accaduti in questi giorni e in quella che, un tempo, tra i licei romani, era la scuola più democratica, intellettualmente vivace e aperta al confronto, sono un vulnus inflitto a tutto il sistema dell’istruzione e dell’educazione scolastica. Al tempo stesso, da parte dello Stato, non rappresentano una conquista significativa della lotta alla criminalità o del contrasto alla diffusione di droghe leggere tra i giovani e nelle scuole. Le modalità con cui si è svolta l’operazione di arresto hanno la parvenza di quelle solite della cattura di superlatitante o di pericolosissimo boss. Operazione certamente pianificata con la dovuta collaborazione della dirigenza.
Come docente titolare del Liceo statale Virgilio, non avrei voluto scrivere su quanto è accaduto, ma sono costretto a farlo almeno per due motivi: 1. dopo aver letto quanto altri, anche estranei al contesto della scuola, hanno scritto e dichiarato ai mezzi di informazione; 2. per tentare di capire qual è l’avvenire delle nostre scuole (certamente al di là delle suggestioni nietzschiane), in relazione alla tradizione del passato, appunto, della paideia. Tento di farlo per ciò che ritengo mi competa, innanzitutto come testimone diretto dei fatti, e come docente della scuola in questione che si dissocia radicalmente dal contenuto della lettera pubblicata su Il Messaggero, il 26/03/2016, a firma: i docenti del Virgilio. Io non sono stato informato di questa iniziativa né ho sottoscritto tale lettera! Se altri docenti hanno ritenuto di farlo, rispetto la loro posizione, pur non condividendola. Io esprimo quella mia personale, in base alle libertà e garanzie costituzionali delle quali spero di poter ancora godere e avvalermi sia come cittadino italiano sia come impiegato della Pubblica Amministrazione.
Comincio con una testimonianza personale. Mercoledì 23 marzo, il giorno successivo all’arresto a scuola del nostro alunno, mi trovavo in una classe a fare lezione. Dopo la ricreazione, tre alunne della stessa scuola si sono presentate, affermando di essere della classe I H e hanno chiesto di leggere una circolare che la dirigente scolastica aveva loro detto di far girare per le classi. Ho fatto presente alle stesse che la consegna delle circolari è compito del personale ATA, in quanto le circolari vanno notificate, con firma su apposito registro, ai docenti nelle rispettive classi e che gli alunni non possono né sono, ad alcun titolo, tenuti a farlo. Le studentesse, alquanto indispettite, hanno replicato testualmente: «Ma a noi ci ha autorizzato la preside perché dobbiamo fare un’assemblea contro quelle bestie [sic!] che questa mattina protestavano qui sotto.» Ho ammonito le studentesse sull’uso dell’appellativo “bestia” riferito ai loro compagni di scuola, dicendo che le bestie stanno o allo zoo o in campagna e le ho invitate a lasciare l’aula nella quale mi trovavo, davanti agli alunni di quella classe che erano increduli e indignati per le affermazioni udite da quelle tre studentesse. Di tutto questo ho apposto nota sul registro di classe, chiedendo un chiarimento e un provvedimento alla dirigente scolastica.
Veniamo alla considerazione dei dati. Il giorno 23 marzo la scuola era, si può dire, vuota. Ho fatto un giro per i piani perché gli alunni della classe dove avrei dovuto svolgere le prime ore di lezione erano tutti assenti. Molti docenti si trovavano nella sala del consiglio coi registri in mano. Un gruppo di genitori si era lì recato per il ricevimento dei docenti, non avendo però letto la comunicazione, emanata solo due giorni prima, con la quale il ricevimento dei genitori era stato sospeso proprio in concomitanza [scil. previsione] con la data dell’operazione di arresto dello studente. All’interno dell’edificio di via Giulia ci saranno state poco più di cento persone. Basterebbe consultare i registri di classe per verificare le assenze degli studenti in quel giorno. Fuori dalla scuola c’erano, numerosissimi, gli studenti che protestavano in corteo. A casa era rimasta l’altra grande parte della popolazione studentesca che ha protestato in silenzio. È un dato oggettivo che non si è trattato di “gruppi minoritari”, “della minoranza”, di “cento studenti”, di “esiguo gruppo” se ci si vuol riferire a chi ha espresso dissenso e preoccupazione per ciò che è accaduto il giorno prima. La folla di studenti che si era prima organizzata in corteo e che, dopo, essendo rimasta assediata - da un lato dai blindati della polizia e dall’altro dallo stesso personale scolastico che ne ha impedito l’ingresso a scuola, sbarrando il portone - aveva chiesto, avendone lo stesso diritto di chi si trovava già dentro la scuola, di poter prender parte a un’assemblea straordinaria, convocata solo lo stesso giorno, a partire dalle ore 11,15 e d’autorità, e che perciò ha avuto luogo per i soli pochi alunni presenti all’interno delle mura dell’edificio. Dentro i buoni, fuori i cattivi. Ecco il messaggio che la dirigenza scolastica in nome della “buona scuola”, ha voluto trasmettere. A stabilire chi fossero i buoni e i cattivi è stata ancora la dirigenza scolastica e il suo entourage. Tali prese di posizione estreme vanificano e alterano i contenuti della legge 107 (buona scuola), con l’inevitabile conseguenza di generare proteste più vivaci e veramente violente.
Se fosse stato un “esiguo” gruppo di manifestanti, “cento” studenti, non si sarebbe certo impegnata e mobilitata tutta quella forza pubblica e perfino coi blindati e in tenuta antisommossa, come quella che tutti hanno potuto vedere, o anche riprendere, come nelle foto pubblicate sui giornali.
Da tale contesto emergono altre imprecisioni o, se dovessimo chiamarle col loro giusto nome, falsità. La prima e più inquietante è: i manifestanti, studenti e genitori, hanno protestato al fine di rivendicare la libertà di spaccio e il consumo di droga all’interno della scuola e per difendere una sorta di “extraterritorialità”, sottratta al controllo della legge. L’altra, non meno preoccupante, che la mobilitazione e la protesta del cosiddetto “gruppo minoritario” è motivata (come ha dichiarato testualmente la stessa dirigente scolastica a Radio 24mattino, il 23/03/2016 in: La polizia nelle scuole) da «interessi esterni molto forti. Interessi eversivi, antagonismo politico estremista, molto pericoloso che cerca di attecchire nelle scuole». Più volte e in diverse sedi, non solo giornalistiche, la dirigente scolastica ha parlato di questi alunni, indicandoli come «persone violente».
Se queste ultime due circostanze fossero vere, la così tanto magnificata azione educativa e culturale che le numerose quanto autoreferenziali iniziative (progetti, convegni, corsi, conferenze ecc.), che il liceo ha organizzato e che reclamizza sul proprio sito come “ricco programma di attività” dalle quali dipende “il buon nome e l’illuminato operato del nostro Liceo”, sono state inefficaci. Solo fumo (per… rimanere in tema), ma niente arrosto. I termini della contraddizione sono sotto gli occhi di tutti. Tentiamo di evidenziarli.
Il primo dato è quello della fomentazione faziosa, mirata a dividere e non ad unire. L’episodio, prima riferito, delle alunne e della circolare è uno dei tanti che si verificano quotidianamente all’interno del liceo. Il fatto assume maggiore gravità se si considera che quelle alunne sono del primo anno e vengono già incitate alla discriminazione dei loro compagni (appellandoli come “bestie”), anche quando questi ultimi possano trovarsi non solo in dissenso, ma anche in errore. Qual è il ruolo della scuola, dei docenti, di un’istituzione educativa? Quello di emarginare o quello di recuperare e includere? Questo compito, in un contesto normale, spetterebbe a chi sta più in alto. Il dualismo manicheo si è invece sostituito alla pratica educativa dell’inclusione, del dialogo e del confronto aperto, rispettoso anche con chi la pensa in altro modo e ritiene di dover esprimere una critica costruttiva, nella prassi della dialettica e della democrazia, non della demagogia, del populismo o del paternalismo. Sembra che in un tale stato di cose la scuola prepari non cittadini per una Polis, ma squadristi per l’assalto, inquisitori delle altrui coscienze e boia dei dissidenti. Infatti, non risulta agli atti e alle cronache, nelle dichiarazioni rilasciate dalla parte cosiddetta movimentista, un solo cenno alla difesa dello spaccio o del consumo, bensì il contrario. Sia studenti sia genitori hanno - nel poco spazio che i mezzi di informazione hanno loro concesso - esplicitamente dichiarato di essere contro il consumo di droghe a scuola e in generale. Di questi fatti è stata diffusa invece una diversa notizia: la dirigente difende la legalità, i genitori e gli alunni, l’illegalità e l’estremismo politico. Il quadrato difensivo che la dirigente ha mobilitato attorno a sé, coinvolgendo perfino i docenti responsabili dei dipartimenti, che si dovrebbero occupare di programmazione didattica e non di difesa d’ufficio del dirigente, è sintomatico di una strutturale debolezza.
Da quando insegno al Virgilio non ho mai avuto la minima percezione di estremismi politici eversivi né di neoformazioni delle BR o dei NAR. Prima di me, se ciò fosse stato vero, la presenza di forze o organizzazioni eversive l’avrebbero rilevata i contingenti dei servizi di informazione e sicurezza, la Digos e il Ministero dell’Interno. Non so pertanto a che titolo la dirigente rilasci illazioni simili. Quello che invece mi ha disgustato è stata la cancellazione della scritta “Virgilio Antifascista” che gli studenti avevano apposto su un murales decorativo, realizzato nel cortile dell’istituto. La dirigente scolastica lo ha fatto cancellare affermando che quella scritta incitava alla violenza e all’odio. Mi sono soltanto chiesto se l’Antifascismo di Amendola, di Calamandrei e l’Unità Antifascista e lo spirito della Resistenza che tentiamo di insegnare e trasmettere durante le lezioni di storia e che stanno alla base della nostra Costituzione, siano, secondo il dettame della dirigente scolastica, anch’essi da cancellare. Nei dettagli poi, l’abnormità di alcune prese di posizione, che oserei definire “pretoriane”, sconfina nell’incredibile. Ad esempio, la signora Matteucci, presidentessa del Consiglio di istituto, già nota per la sua iniziativa di aver scritto al Capo dello Stato per chiedere lo sgombro del liceo occupato nei mesi scorsi, e legittimata a farlo unicamente dalla sua autoconvinzione di poter trattare da presidente a Presidente, anche questa volta ha perso una preziosa occasione per non scadere nel ridicolo. Più che nel ridicolo, forse, questa volta, nel più preoccupante e sgradevole sciacallaggio mediatico. Lo ha fatto quando ha paragonato, non certo implicitamente, l’uso delle droghe leggere e la fattispecie del nostro studente, agli efferati assassini di Luca Varani. Certo, tra 1.500 euro di cocaina, consumata ininterrottamente per tre giorni e infarcita di altri prodotti allucinogeni e un grammo e mezzo di hashish, ceduto per pochi euro, la presidentessa non è riuscita a cogliere la sostanziale differenza e gravità. Come se ciò non bastasse, la “somma” presidentessa si è anche sentita in dovere di valutare e giudicare l’operato della precedente dirigente scolastica, dichiarando a Repubblica il 23 marzo 2016, con straordinaria e lucida inesattezza che durante la dirigenza della preside Emilia Marano (che secondo la presidentessa sarebbe stata reggente e non preside titolare) il Virgilio era abbandonato a se stesso e che solo da tre anni, con la nuova dirigente le regole vengono fatte rispettare. La presidentessa ignora o vuole ignorare che il liceo proprio in uno dei due anni della titolarità (e non reggenza) della preside Marano non fu occupato dagli studenti, proprio perché non c’era alcun motivo per farlo, grazie alla straordinaria capacità di dialogo e mediazione umana e culturale che quella dirigente esercitò sull’intera comunità scolastica. L’anno successivo gli studenti occuparono, come sempre sulla base di una motivazione politica, e in concomitanza con numerosi altri licei romani. La presidentessa Matteucci, inoltre, non sembra e di fatto non è la voce né unanime né maggioritaria dei genitori del Virgilio. Il liceo ha costituito, come è ben noto, un comitato genitori ed eletto un presidente: Roberto Caracciolo. A chiunque visiti il sito www.liceovirgilioroma.eu , è palese che il comitato genitori, quindi la maggioranza di chi ha votato il presidente dello stesso comitato, non è espressione di quella linea di pensiero e di azione che la dirigente scolastica e la sua presidentessa del Consiglio di istituto si ostinano a propalare.
Si abbia quindi il coraggio e l’onestà di dire e riconoscere che il liceo Virgilio vive e subisce al proprio interno una condizione di profonda e già lunga sofferenza, di disagio e di divisioni odiose che tendono a escludere o mettere alla porta con ogni mezzo possibile, chi osa dissentire o proporre quanto non rientra nei piani mirati della dirigenza, e di chi ne trae utilità diverse, non meno e nella fattispecie, dalla maggioranza selezionata, all’interno del consiglio di istituto, del quale lo studente arrestato faceva parte.
Lo studente arrestato, Luca Giordano, è stato per un anno mio alunno e avrebbe continuato ad esserlo se la dirigente scolastica non mi avesse rimosso – nonostante i numerosi dissensi degli alunni - da quella classe e anche da altre. Le ragioni con le quali la dirigente mi motivò l’allontanamento da quella classe le potrei comunicare solo al pubblico ministero titolare del procedimento, qualora lo ritenesse opportuno. Per quanto io possa attestare dalla mia conoscenza dello studente e per l’esperienza maturata anche di altri contesti, ritengo che non si tratti di persona più problematica di quelle presenti e comuni in tutte le scuole, connesse anche ad una fase della crescita e dello sviluppo della coscienza che ogni persona, in modo sempre diverso, vive e afferma. Ritengo con maggior certezza che, nel caso di Luca, non si tratti di individuo criminale né di contesto familiare o socio-culturale deprivato di modelli e pratiche dalla forte connotazione civile ed etica. Il trattamento che però gli è stato riservato, rischia di equipararlo ad avvezzo malfattore. Questa assunzione di falsa identità che Luca ha dovuto subire nel luogo dove egli stesso ha ammesso di aver commesso errori, dove è stata organizzata la sua “cattura” e dove si vivono gli anni più belli della vita, è tristemente rivelata dall’appellativo col quale Luca si è firmato nella lettera che tutti conosciamo: uno spacciatore. Benché gli elementi per provare il reato sono innegabili, la competenza di ogni valutazione e giudizio sarà delle sedi proprie e tra le parti, nel processo che si terrà.
Tornando alla situazione generale del liceo Virgilio, del quale questa esperienza rappresenta un’acme, su alcuni dati oggettivi, documentati e inconfutabili ci si deve assolutamente interrogare. Essi sono i seguenti: il piano dell’offerta formativa triennale (PTOF), votato a maggioranza nel consiglio di istituto con l’unanime voto contrario della rappresentanza degli studenti e della maggioranza dei genitori; l’elevatissima richiesta di nulla osta (più di cento), da ottobre a febbraio, per il trasferimento di alunni ad altra scuola; la palese spaccatura nelle votazioni all’interno del collegio docenti; il ricorso, fino al parossismo, dei cosiddetti “consigli di disciplina” con convocazione dell’intero consiglio di classe, al fine di irrogare sanzioni disciplinari gravissime, per questioni sulle quali la pedagogia del dialogo, la responsabilizzazione e la fiducia avrebbero potuto sortire effetti migliori; il bassissimo numero di iscrizioni, rispetto a quello che si registrava fino a tre anni fa, e che quest’anno è ancora di più diminuito, con conseguente riduzione della formazione delle prime classi nonché del numero dell’organico dei docenti. Questo ultimo dato costituisce una vera perdita poiché tanto nell’utenza, quanto nel corpo docenti, il Virgilio ha vantato storicamente frequentazioni illustri. Tra gli ex alunni, oltre che nel passato Elsa Morante, sono passati dal Virgilio e ancora oggi lo frequentano figli di esponenti politici e di governo, come anche di dirigenti del settore pubblico e di famosi giornalisti, i cui nomi sono noti a tutti. Tra i docenti, ad esempio, la validissima professoressa (oggi in pensione) di italiano e latino Maria Rosaria Severino, sorella della ex ministra della Giustizia, Paola, nel governo tecnico Monti (dal partito di Monti, è noto, proviene l’attuale ministra dell’istruzione, Stefania Giannini, prima del suo passaggio al Partito Democratico renziano); più indietro nel tempo, il professor Vinci Verginelli che ha donato la sua ricchissima e preziosa biblioteca di rari testi ermetici e rinascimentali alla biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei. È un vero peccato che un liceo così prestigioso sia finito sulle cronache nazionali solo per un grammo e mezzo di hashish o per l’occupazione di due settimane. Le scritte dentro e fuori i muri della scuola che invitano la dirigente ad andarsene, sono rivelatrici di una sofferenza diffusa, prolungata e divenuta, oggi, insostenibile. Anche all’interno del corpo docenti si vive questo disagio. Non per ultimo, tra questi dati vanno messi in evidenza: il risultato delle elezioni, svoltesi il 28 ottobre scorso, per il rinnovo della componente alunni, all’interno del consiglio di istituto e quelli per il rinnovo della rappresentante docenti RSU. La lista n. 1, composta e sostenuta dagli stessi alunni che oggi risulterebbero incriminati, e definiti come “persone violente” e “esigua minoranza”, ha ottenuto 813 preferenze e conquistato tre seggi su quattro. L’altra, la n. 2, preferita apertamente dalla dirigente scolastica, ha ottenuto 399 voti. Anche nelle elezioni per il rinnovo della RSU, ha ampiamente prevalso nei risultati il voto dei docenti che mirano all’unità della scuola, che vorrebbero un clima più sereno e imparziale e che sono estranei ad ogni compiacenza della dirigente.
Come si fa, allora, a parlare di “esigua minoranza”?
Non tocca a me né a nessun altro che non sia investito dei poteri che la Costituzione assegna alla Magistratura, soprattutto con l’articolo 112, e agli imputati con i primi due commi dell’articolo 27, valutare o giudicare se quello che è accaduto sia stato giusto o sbagliato. Questo dovrebbe valere, oltre che per i firmatari della lettera inviata a Il Messaggero, in primo luogo per la dirigente scolastica che, sulla pelle di un alunno, si è riempita la bocca della parola “Stato”, identificando o scambiando azione educativa con intervento repressivo. L’azione educativa non si espleta esclusivamente in convegni e conferenze o in passerelle che della legalità e del sentimento della legge sono solo la forma. L’azione educativa si espleta, colpisce e rivela la sua efficacia solo se si riesce a parlare quotidianamente allo spirito degli interlocutori, di tutti gli interlocutori, soprattutto di quelli ritenuti più lontani e dissidenti. Insegnare ed educare significa principalmente mettersi nelle condizioni di apprendere da chi ha un pensiero o un sentimento che non è il nostro e dal quale possiamo trarre nuovi sensi dalle cose e dall’esistenza comune. Sicuramente, anch’io, come docente, non sono riuscito a trasmettere quel messaggio forte ed efficace che avrebbe potuto evitare ciò che invece è accaduto. Riconosco, pertanto, in tutto ciò anche i miei limiti e le mie responsabilità.
Mi chiedo: quante volte, ad esempio, e con quale spirito o atteggiamento, Luca o altri alunni ritenuti problematici o giudicati “violenti”, siano stati chiamati individualmente in presidenza o anche a colloquio da quei docenti che magnificano attività culturali eccellenti e che contribuiscono all’”illuminato operato del liceo”, per cercare di capire l’uomo e prepararlo alla vita e non per raccogliere le prove per farli incriminare?
Chiunque vive il mondo della scuola, della paideia come scelta di vita e non di mestiere o di carriera, deve vivere contemporaneamente questa responsabilità e sentirsi coinvolto, in prima persona, per tutto ciò che accade. Non abbiamo saputo custodire quanto ci è stato affidato dallo Stato e perciò la risposta che oggi qualcuno deve dare non può essere diversa da quella che Caino diede a Dio quando Dio gli chiese: «Caino, dov’è tuo fratello?» e Caino che aveva ucciso suo fratello, rispose: «Non lo so, Signore, sono forse io il custode di mio fratello?» Ecco, allora, che si invoca lo Stato, lo Stato etico in grado di assorbire e neutralizzare i limiti e le incapacità di chi con lo stesso Stato ha firmato un contratto e nel medesimo Stato cerca tutela e giustificazione e, nel caso peggiore, si dà una identità che prima non avrebbe mai potuto avere. «Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, e soprattutto niente contro lo Stato». Così tuonavano lapidarie, da Milano, il 28 ottobre 1925, le parole del duce del fascismo Mussolini, mentre Giovanni Gentile, il filosofo dell’attualismo, aveva già da un pezzo elaborato il Sommario di pedagogia come scienza filosofica. Solo che, in molti punti, la scuola di Stato di Gentile non coincide con la scuola fascista, obbligata invece a fornire unicamente cittadini obbedienti e servili. Quando lo Stato etico si intreccia col mito del duce e interviene all’interno, nel cuore dello spazio della formazione e della crescita, in quel sacrario dove si espleta l’attività educativa e si compie la più alta esperienza dello spirito umano,“colpendo uno per educarne cento”, la paideia ha sperimentato il proprio fallimento e ha ceduto le armi della scienza e la forza dello spirito e del sapere a quella, pur legittima, dei drappelli, costretti dallo stesso Stato a supplire o surrogare la negligenza o l’incapacità di chi avrebbe potuto certamente evitare, in quel luogo e in quel caso, il loro sconvolgente intervento.
Infine, altrettanto tuonanti e lapidarie sono state le parole della dirigente scolastica, alla Radio 24, nel corso della già citata intervista: «è un combattimento. Vale la pena farlo per il bene dell’Italia». Già, per il bene dell’Italia…! Corsi e ricorsi storici, avrebbe sostenuto il Vico della Scienza nuova. Infatti, per essere più esplicitamente coerenti col pensiero della attuale dirigenza scolastica: «Pronti, ieri, oggi, domani al combattimento per l’onore dell’Italia» dovrebbe essere l’iscrizione che, da subito, si potrebbe apporre all’ingresso del liceo Virgilio e che andrebbe a sostituire quella tratta dal VII libro dell’Eneide e che con le stesse finalità nell’anno XVI dell’era fascista, venne scolpita sull’ingresso dell’edificio nuovo, sul Lungotevere: HINC PROGENIEM VIRTUTE FUTURAM EGREGIAM. Il verso però continua: ET TOTUM QUAE VIRIBUS OCCUPET ORBEM. La traduzione è la seguente e non ha bisogno di ulteriore commento: Avrebbe avuto progenie egregia di valore, da sottomettere il mondo con la forza.

Prof. Dr. Phil. Maurizio Cosentino
Docente titolare di filosofia nel Liceo Statale Virgilio

martedì 15 giugno 2010

L’EX MINISTRO GIUSEPPE FIORONI E I PARTITI-CHIESA ALL’ASSALTO DELLA MASSONERIA

Le preoccupazioni dell’onorevole Giuseppe Fioroni evidenziate nell’intervista del 3.06.2010 al giornale Il Tempo e dirette al segretario del Partito Democratico nonché, in generale, all’opinione pubblica, evidenziano uno stato di disorientamento, all’interno del quale il primo ad essere disorientato appare proprio l’onorevole Fioroni.

L’oggetto in questione è la Massoneria. Ogni riferimento a tale secolare istituzione dovrebbe presupporre una conoscenza, pressoché adeguata, della sua storia e dei documenti sui quali la “maledetta” fratellanza si è organizzata e continua, ancora oggi, a svolgere le sue attività in conformità ai suoi statuti. La lettura delle dichiarazioni di Fioroni, anche al di là dell’espressione del suo personale pensiero, animano nel lettore una certa preoccupazione e possono creare sgomento se si pensa che l’onorevole Fioroni è stato anche ministro dell’istruzione. Mi spiego meglio. Parlare a ruota libera della Massoneria e con i toni utilizzati dall’ex ministro Fioroni per farne un “pretesto” di partito, equivale ad avere una concezione del proprio partito come se si trattasse di una chiesa. Quando i partiti diventano una chiesa, la libertà e la democrazia, invocate da Fioroni, esistono solo se esse sono conformi alle definizioni dogmatiche del partito-chiesa o della chiesa-partito. L’appello dell’ex ministro Fioroni ricorda, in certi passaggi, l’enciclica di Leone XIII Inimica vis, dell’8 Dicembre 1892. Lì si può leggere in quali termini l’azione dalla chiesa cattolica - iniziata già con l'emanazione di due precedenti documenti del 1884 e del 1890 - si rivolgeva alla Massoneria: “strappammo dal viso della massoneria la maschera onde si velava agli occhi dei popoli, e la mostrammo nella cruda sua deformità, nella sua tenebrosa e funestissima azione”. Su analoga riga, Fioroni risponde alla domanda del giornalista, sostenendo di provare difficoltà a paragonare associazioni come l’Azione Cattolica e gli Scout con la Massoneria, aggiungendo poi: “Se il PD tollerasse l’appartenenza di suoi membri alla Massoneria, verrebbe messa in crisi la credibilità dello stesso PD in tante battaglie”. All’anatema di Fioroni si associa il responsorio di Di Pietro che, a sua volta ribadisce, altrettanto superficialmente: “In un paese democratico e libero i sistemi massonici non dovrebbero esistere, perché per definizione difendono la casta e settori specifici di interesse”. Tanto Fioroni quanto Di Pietro non solo non pongono un problema di caratura politica, ma dimostrano anche di avere una concezione deformata della Massoneria, probabilmente in ragione di una loro fondamentale ignoranza storica e di una incapacità a contestualizzare gli eventi. Tali limitazioni non permettono loro di trovare altre ragioni se non quelle della propaganda. Tanto per l’ex ministro dell’istruzione, quanto per l’ex magistrato ciò è molto grave. L’ex ministro dell’istruzione dovrebbe conoscere, tra le altre cose, il contributo apportato dalla pedagogia di stampo massonico (già a partire dal Pinocchio di Collodi) alla storia della scuola italiana; l’ex magistrato poi, non ha considerato con equilibrio il contenuto dell’articolo 18 della Costituzione e della relativa Legge attuativa n. 17. del 25/01/1982 (Legge Anselmi), soprattutto l’articolo 1.

Al di là di qualsiasi intenzione apologetica dei “figli della vedova” tentiamo di individuare le ragioni dei fraintendimenti e delle ignoranze che accomunano l’ex ministro dell’istruzione e il moralista “gran maestro” dell’Italia dei Valori. Da quanto essi sostengono e diffondono non si tratta di mera propaganda anti-massonica o filo-cattolica (a seconda dei punti di vista), ma di comprensibile disinformazione. Nessuno dei due dimostra, ad esempio, di aver mai letto (fermo restando che non sono obbligati a leggerle, qualora non volessero parlare di Massoneria!) le Costituzioni di James Anderson, del 1723 e che sono il documento fondamentale della Libera Muratoria. Qualsiasi Loggia o Obbedienza che non copra sotto questo nome bande di malfattori, imbroglioni, millantatori, truffatori (come ricorda il caso della ex P2) o con termine più aggiornato “cricca”, osserva e fa proprie queste Costituzioni che impongono, altresì, di osservare le leggi e le costituzioni del proprio paese. Per quanto riguarda, ad esempio, le difficoltà espresse da Fioroni, in ordine al paragone tra Azione Cattolica, Scout e Massoneria, le Costituzioni di Anderson stabiliscono chiaramente che: “chi intende rettamente l’arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso”. Inoltre i requisiti e le finalità dei Liberi Muratori sono, nello stesso testo, ben esplicitate: “essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore ed onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possano distinguere, per cui la Muratoria diviene il centro di Unione e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti”.

E il segreto? I segreti? Anche qui bisogna conoscere prima di censurare. La Massoneria non è mai stata un’associazione segreta (soprattutto durante l’Illuminismo, quando ha toccato affermazione e splendore massimi), ma una società che ha custodito e custodisce segreti (non segreti di Stato o segreti confessionali). Quali sono allora i segreti della Massoneria? Sono quelli relativi a un percorso di formazione e di illuminazione interiore, che non mettono in pericolo né la democrazia né la libertà o gli apparati dello Stato. Sono segreti iniziatici, decodificazioni di simboli, di linguaggi e di patrimoni di conoscenze che hanno accompagnato il cammino dell’umanità e dei popoli verso traguardi di progresso e di libertà. Il segreto della Massoneria è la ricerca della “parola perduta”, dell’ edificazione del tempio dell’umanità, in una società dove il male si può contrastare, ma non eliminare. Migliorare se stessi e contribuire con la propria intelligenza al progresso umano: ecco in cosa consiste il lavoro del massone. E per quello che riguarda l’organizzazione delle Logge, verso le quali è stata espressa una così viva e ingiustificata preoccupazione, troviamo, ancora una volta, specificato nelle Costituzioni di Anderson che i segreti di queste e l’obbligo di osservarli cui è soggetto il massone, riguardano solo le norme delle logge stesse e i regolamenti generali (una possibile analogia con il segreto d’ufficio o professionale che non minano né alla democrazia né alla libertà). Ovviamente, tanto l’ex ministro dell’istruzione quanto il paladino dell’eticità italiana hanno dimenticato o probabilmente ancora ignorano che in Inghilterra, paese democratico per antonomasia, come anche in America e in molti altri paesi liberi e democratici del mondo, la politica non ha mai posto e non pone problemi alla Massoneria né la Massoneria è mai stata un problema politico. La regina d’Inghilterra annualmente si reca in visita ufficiale alla “Gran Loggia Madre del Mondo”. In tutte le Logge regolari le discussioni di politica e di religione rimangono fuori dalla porta del Tempio. George Washington e Benjamin Franklin sono stati notabili massoni, come anche Federico II di Prussia, Wolfgang A. Mozart, Wolfgang Goethe e Johann G. Fichte. Più vicini ai nostri tempi massoni erano anche Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt. La lista si potrebbe allungare in modo considerevole e richiederebbe pertanto più tempo da dedicare allo studio dell’istituzione e dei suoi affiliati, rispetto a quello utilizzato per esternazioni sconsiderate. In ultima analisi, anche l’Italia ha una sua storia massonica da vantare, che si intreccia dignitosamente con la sua storia politica, penso a Giuseppe Mazzini, a Francesco Crispi, a Giuseppe Zanardelli e non per ultimo a Giovanni Amendola. Da Carlo Francovich a Aldo Mola e Fulvio Conti, la parabola della storia della Massoneria italiana non ha segreti né reticenze e non allude né si identifica con la formazione di “cricche”, come quelle ipotizzate. Le “preoccupazioni” sollevate da Fioroni e riecheggiate da Di Pietro non trovano riscontro in serie prospettive di ricerca o in tentativi di risoluzione di emergenze più vaste. La richiesta avanzata dall’ex ministro e da altri sostenuta può sembrare una forma di epurazione per colpevoli di gravi reati o per potenziali attentatori della democrazia e della libertà nel nostro Paese. Se la direzione del PD dovesse veramente intervenire su tale questione, esprimendo divieti e sanzioni, assumerebbe l’ufficio di una chiesa e di una inquisizione. Sicuramente le colpe e gli scandali delle chiese o dei partiti che vogliono diventare chiese o che alle chiese prestano il loro braccio, in questo tempo di neo-oscurantismo morale e culturale, sono realtà molto più concrete e tangibili. Diversa e assai più efficace invece potrebbe essere una proposta che mira all’individuazione delle massonerie irregolari o deviate o delle “cricche” che si autoproclamano logge massoniche, e dalle quali mettere in guardia gli esponenti del partito, espellendo chi ne faccia parte. Per non perdere e non far perdere ulteriore tempo, consiglierei ai due fustigatori delle morali di partito la visione del film di Totò (Antonio De Curtis) “Siamo uomini o caporali?”. Ma Totò era massone e perciò anche questo potrebbe ingenerare in loro qualche sospetto o essere, ancora, di difficile comprensione, visto che quando Fioroni e Di Pietro hanno parlato di massoni non si sono riferiti ad una società composta di uomini, ma di caporali, riproducendo la divisione fatta nel film dal massone De Curtis.

M.C.

giovedì 19 marzo 2009

CATANIA VISTA DA REPORT: LA BABILONIA D'ITALIA

Ho seguito domenica sera la trasmissione Report di RaiTre su Catania. Pur ritenendo discutibili gli aspetti della ricostruzione delle vicende legate al dissesto finanziario locale e fatte salve la libertà democratica e quella di informazione, trovo assai increscioso e inopportuno che, a sostegno delle tesi di questo dossier giornalistico, sia stata inserita anche la criminalizzazione della festa di sant'Agata. L'aver tentato di strumentalizzare aspetti della festa con domande che evidenziano non solo maliziosa faziosità, ma soprattutto la radicale ignoranza di un patrimonio culturale che è dato dalla storia delle tradizioni popolari (la festa di sant'Agata sotto questo profilo è la terza al mondo per importanza!) e l'aver ancor di più voluto cercare e trovare in essa la fucina di estorsioni, collusioni e insediamenti mafiosi e quanto altro di tal genere, non torna onorevole per la dignità e la fede che tanti devoti esprimono nei giorni della festa. Prescindendo poi dalle valutazioni di ordine confessionale, come catanese ed anche come devoto di sant'Agata - che di quella immensa folla che indossa il sacco bianco è onorato di far parte - ho sentito pesare oltraggiose, violente e dissacranti le insinuazioni del servizio televisivo sulla mia città e sulla festa della nostra Santa. Le fotografie che ritraggono boss o congiunti di boss che onorano le reliquie della Patrona o ancora i numeri delle tessere del Circolo sant'Agata ed i relativi soci, non possono essere presi a pretesto per una pseudo-indagine che chiama in causa motivazioni talmente estranee ed eterogenee tra loro che sarebbe soltanto frutto di una vera aberrazione il tentarne, in qualsivoglia modo, una identificazione sinonimica. La magistratura catanese e quella siciliana sono molto più esperte ed efficienti di quanto non le si è fatte apparire nel medesimo servizio televisivo. Le operazioni antimafia degli ultimi anni e quelle in corso sono la dimostrazione del successo delle indagini e delle analisi compiute dagli organi giudiziari sulle tristi realtà che affliggono il nostro Paese e la nostra Isola e non hanno certamente, in questa prospettiva, confuso o identificato il dato religioso in senso lato con il fenomeno mafioso, al fine di un migliore successo o di una visibilità che diversamente avrebbero potuto non avere.
I collegamenti ipotizzati tra i vari poteri visibili o latenti e le trame che chiamano indebitamente in causa confraternite, ordini cavallereschi e massonerie fanno pensare più ad una imitazione romanzata alla Dan Brown che ad una esposizione realistica e razionale di problemi sui quali si vuole e si deve sollecitare l'attenzione. Mi rendo anche conto che l'estensione di patenti massoniche (a vilipendio di una gloriosa istituzione che ricorda i felici tempi dell'Illuminismo) riesce indispensabile tanto quanto un posto nella casa del "Grande Fratello" per potersi fare notare! E quella del 3 febbraio infatti, in gergo comune, da noi catanesi viene detta: "a parata da porta Aci". Ed alle parate oggi si è molto sensibili.
Non so se chi ha ispirato tale ricostruzione abbia presente quali in realtà sono i problemi di Catania e dei catanesi. Sono problemi molto meno appariscenti di quelli che si è voluto inscenare, ma molto più profondi e dolorosi. Non sono i problemi dei quintali di cera né quelli delle tessere dei circoli di sant'Agata, né quelli dell'editoria o dei giornali asserviti o peggio dei politici pronti a salire, al momento giusto, sul carro vincente. I problemi di Catania sono anche i problemi interiori ed esistenziali, come quelli che vive ad esempio l'universo giovanile, contenuto in sacche straripanti di popolazione che si divide tra la ricchezza della Catania bene e dei salotti e quella delle zone centrostorico e periferiche dove il minore, privato di quella naturale armonia del crescere è già subito adulto e commette reati da adulto. Il bisogno e la forza di affermazione di una città più volte distrutta e sempre risorta dalle ceneri, non sono mai tramontate, neppure sotto i riflettori "falsi e bugiardi" di chi, sulle sventure altrui, crede di ergersi a moralista o censore. Su una delle porte laterali della cattedrale che custodisce il corpo di sant'Agata, sta la seguente scritta: Noli offendere patriam Agatae quia ultrix iniuriarium est. Si riferisce ad una leggenda che narra l'intenzione di Federico II, nel 1231, di assoggettare la città. Ma questo particolare l'"attento" giornalista, non l'ha notato. Ed anche per questo motivo preferiamo ritenere che le illazioni sulla festa di sant'Agata siano, ancora una volta, il frutto di una ignoranza che, ci auguriamo, vorrà presto colmare.
Maurizio Cosentino

lunedì 22 settembre 2008

DIE GEDANKEN SIND FREI - Ai miei ex studenti del Liceo statale Visconti di Roma a.s. 2007/2008

DIE GEDANKEN SIND FREI
Ai miei ex studenti del Liceo statale Visconti di Roma a.s. 2007/2008

All’inizio di questo anno scolastico 2008/2009, desidero rivolgere sentitamente un saluto e un augurio di buona fortuna a tutti i miei ex studenti del liceo classico statale E.Q. Visconti di Roma.
Li ringrazio per la stima e l’attenzione (e la pazienza) che hanno dimostrato durante le lezioni, per l’interesse manifestato ai temi ed ai problemi della filosofia prima e della vita poi, o meglio della filosofia come forma di vita, di vita associata, nella comunità, dove si rende la più alta ed efficace testimonianza della propria intelligenza e dignità. Sono sicuro che saprete continuare ancora meglio sulla strada che insieme abbiamo iniziato e non per il prestigio esteriore delle mura del vecchio Collegio Romano - che oggi porta altro nome e non può certo vantare né la gloria della Ratio studiorum che fu dei gesuiti, né altra gloria o merito in più delle altre scuole italiane - ma per il vostro progresso, per la vostra indipendenza e libertà.
Siate memori dell’uguaglianza di tutti, in tutti i contesti ed a tutti i livelli. Difendete la vostra libertà con la forza giovane dei vostri pensieri e con la fatica dello studio che per nessun motivo dovrete trascurare o abbandonare, anche quando vi diranno che “non valete nulla o che non siete all’altezza di quel corso o di quella scuola”.. Siate uniti tra voi in una fratellanza di intenti per promuovere il miglioramento dei vostri compagni e di voi stessi e con ciò quello del genere umano. Siate contenti del successo altrui e contribuite, con ogni mezzo a voi disponibile, ad aiutare chi si trova in difficoltà. Non vi schierate in dispute di divisioni religiose, politiche o ideologiche. Le ragioni degli altri valgono tanto quanto le nostre e nessuno può dire di possedere la verità in senso assoluto. Rispettate tutti e fatevi rispettare da tutti.
Ricordate che l’unica cosa che possediamo e che nessuno mai ci potrà togliere sono i nostri pensieri e quello che abbiamo imparato. Abbiate una cultura e una conoscenza delle cose vasta e precisa, essa vi consentirà di essere liberi e di vincere.
Imparate molto dagli antichi maestri, essi sono, in ogni caso, più affidabili.
Vivete bene ogni giorno e siate felici.
Vostro, M.C.